INTRODUZIONE
La tendenza alla specializzazione delle aziende agricole e zootecniche ha determinato negli ultimi decenni la concentrazione della produzione di sostanza organica e di nutrienti in alcune aree. Questo fenomeno ha condotto a problemi di inquinamento da nitrati delle acque superficiali e delle falde sotterranee particolarmente acuti in Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia-Giulia ed Emilia Romagna, dove si concentra il 70% del patrimonio zootecnico nazionale. Nelle aree a vocazione zootecnica assume notevole importanza l’allevamento suino. La tipologia di allevamento prevalente prevede che le deiezioni siano gestite come liquami e distribuiti sul terreno mediante spandimento come fertilizzanti in considerazione del loro contenuto in elementi nutritivi, in particolare di azoto.
Parallelamente a questo fenomeno, l’agricoltura intensiva, che si è affermata nei paesi sviluppati a partire dagli anni ‘60-’70, ha causato il depauperamento della dotazione di sostanza organica dei suoli utilizzati a scopi agricoli. Le conseguenze del fenomeno di riduzione del contenuto di sostanza organica sono molteplici: sul piano ambientale, la ridotta capacità di protezione del suolo da fenomeni erosivi e di inquinamento delle acque, la liberazione in atmosfera di masse di carbonio, sotto forma di CO2, potenzialmente conservabili nel suolo in forma organica, e sul piano agricolo aziendale, la diminuzione della fertilità dei suoli.
Per contrastare il sensibile incremento della concentrazione di nitrati di origine agricola nelle falde acquifere (Direttiva 91/676/CE, Direttiva Nitrati) e la riduzione del contenuto in sostanza organica nei suoli (COM 2002-179) la Commissione Europea (CE) ha adottato interventi destinati a limitare la quantità di azoto distribuibile sulla superficie coltivata nelle aree riconosciute a rischio (le cosiddette Zone Vulnerabili da Nitrati, ZVN).
Un numero non trascurabile di allevamenti sono collocati, oppure utilizzano terreni per lo spandimento, all’interno di tali zone vulnerabili da nitrati di origine agricola, dove l’apporto massimo di azoto consentito alle colture è ridotto a 170 kg ha-1 per anno. Molti allevamenti hanno inoltre una produzione di azoto da liquami superiore alla quantità che può essere complessivamente distribuita sui terreni disponibili a questo scopo. La maggior parte delle aziende risolve questo deficit di terreno rispetto alla produzione di liquame procurandosi, mediante l’affitto e/o l’asservimento, ulteriori superfici utili allo spandimento. L’elevato numero di allevamenti che nel tempo hanno adottato questa strategia e la loro concentrazione in un’area limitata del territorio regionale hanno determinato il progressivo incremento del costo d’uso (canone di affitto o di asservimento) dei terreni agricoli, precludendo ad imprenditori agricoli diversi dagli allevatori l’accesso a questa risorsa. Alcuni allevamenti, in particolare quelli di maggior dimensione, hanno difficoltà a reperire grandi superfici di terreno (nell’ordine delle centinaia di ettari) necessarie per eseguire lo spandimento del liquame e devono ricorrere a sistemi di trattamento degli effluenti. La tecnica più semplice, diffusasi negli ultimi anni, per il trattamento dei liquami è la separazione solido-liquido che permette di ottenere una frazione solida ed un liquido chiarificato. La frazione liquida, a causa della sua bassa densità, viene generalmente distribuita su terreni situati nelle immediate vicinanze dell’azienda. La frazione solida invece, avendo valori di densità maggiori, può essere economicamente trasportata e quindi distribuita su terreni che non distano più di 15-20 km dal centro aziendale.